Maxim Mironov

La prima volta lo vidi nell’oscurità del teatro Rossini a Pesaro. Feci un’audizione per lui. Cantai l’aria di Lindoro.
Non mi prese quella volta. Passarono un paio d’anni e mi propose di participare all’Accademia a Pesaro. È lì che lo conobbi veramente.
Il suo modo di insegnare, di tramandare il suo sapere a i giovani, di cercare di ottenere il meglio da noi, per offrirlo al pubblico e a Rossini stesso. Ricordo le sue incazzature, quando batteva i piedi sul pavimento per la rabbia e tutti quelli che assistevano alla furia volevano solo sprofondare all’istante. I suoi sorrisi, quando riusciva a ottenere da noi il risultato che lui voleva. Sorrisi monelli, non da professore e Maestro, ma da un complice. Sgridò pure me molte volte (e aveva sempre ragione), ma è così che ebbi inizio la nostra amicizia.
Abbiamo lavorato parecchie volte insieme, ma di una produzione mi ricordo particolarmente bene. Era Il viaggio a Reims a Bilbao. Abitavamo nello stesso albergo, e tutte le mattine puntualmente facevamo colazione insieme. E tutte le mattine parlavamo a lungo di varie cose, ma più di altre di Rossini e dell’opera. Lui mi disse una cosa che mi ha stupito quella volta e che mi stupisce ogni volta che ci ripenso. “Rossini non giudica mai nelle sue opere. Guarda i suoi personaggi, sorride e lascia il giudizio allo spettatore.” Un’osservazione semplice e profonda allo stesso tempo alla quale si può arrivare solo dopo una vita di studi e riflessioni.
L’ultima volta ci siamo visti a Tokyo quest’autunno. Era allegro, pieno di energia, brillante come quell’altra volta quando andammo a Tokyo insieme 10 anni prima. Io, devastato dal jet-lag e lui pimpante ed energico. “Dove, dove prende le forze questo uomo?” pensai. Questa volta dirigeva lo Stabat Mater. E io mi sono fermato a osservare la prova. Era un atto di magia, non solo una direzione. Instaurava un rapporto con l’orchestra, e sembrava che gli orchestrali leggessero nel suo pensiero. Dava senso allo spartito. Mai scolastico. Sempre musicale. Faceva vivere la musica. Ed era la sua ultima lezione, direi.
Ora non c’è più, ma con me rimarrà sempre tutto quello che mi ha insegnato. Mi mancherà immensamente. Grazie, Maestro. Maxim Mironov
© Zedda-Vázquez