Carmen

Teresa Berganza

La storia della Carmen letteraria non è diversa da quella di altre opere che hanno creato prototipi di personaggi assunti a simbolo di tipologie universalmente condivise, pur nelle infinite sfumature che ogni rilettura di un testo comporta. Per tutti Carmen incarna la figura di una donna fascinosa che deriva irresistibile carisma da una femminilità carica di erotismo e di gioia di vivere, espressa in comportamenti anarcoidi, ignari di condizionamenti morali e sociali. Per affermare questa difficile libertà Carmen ostenta una fierezza che può apparire sfrontata e una disinvoltura che può apparire frivola: posta di fronte all’alternativa di rinnegarla o di morire, Carmen afferma il diritto di vivere il suo credo, aggiungendo all’orgoglio il blasone dell’eroismo.

La traduzione compiuta dal musicista Bizet della vicenda narrata da Mérimée rispetta sostanzialmente questa problematica, riflessa in una partitura di classica compostezza, ricca di sfumature ottenute con una strumentazione di raffinata leggerezza e con un canto intenso e nobile, lontano da ogni sollecitazione volgare anche quando evoca motivi e atteggiamenti popolari e folcloristici di una Spagna rivisitata nell’immaginario della fantasia.

La traduzione che gli interpreti (direttori, cantanti e registi) hanno fatto della partitura bizettiana ha dato origine a due filoni distinti, assai diversi fra loro. In Italia e in Ispagna ha prevalso una lettura a forti tinte, che , a dispetto delle indicazioni del musicista, ha caricato di passionalità i personaggi, esaltandone gli aspetti sensuali a dispetto di quelli spirituali, e costringendoli a eccessi di verismo estranei allo spirito del testo musicale. Diventata una grand opéra imponente e magniloquente, i dialoghi parlati che inframmezzavano i numeri musicali risultarono fuori luogo e furono presto sostituiti da una versione cantata composta senza il placet di Bizet, ormai deceduto. La presenza del parlato qualificava spettacoli semiseri, destinati a essere rappresentati all’Opéra Comique, un genere meno pretenzioso dei paludati drammi seri destinati al Teatre de l’Académie.

L’operazione di sostituire i dialoghi parlati con scene musicali cantate fu considerata un doveroso riconoscimento del successo trionfale conseguito dall’opera di Bizet, presto divenuta popolarissima ovunque: dunque un postumo atto d’omaggio che le dava il diritto di abbandonare il modesto palcoscenico dell’Opéra Comique per passare al fasto della prestigiosa Académie.

Nella realtà questo preteso omaggio favorì un clamoroso fraintendimento del capolavoro. In una cornice scenica caricata della più scontata simbologia di un hispanismo superficiale e turistico, Carmen diventa facilmente espressione di una sensualità volgare e senza luce; Don José la succube vittima di spregevoli istinti carnali; Micaela la sfocata immagine di una virtù priva di meriti, creata soltanto per aggiungere riprovazione alle nefandezza di Carmen e alla debolezza di Don José.

Carmen è dunque obbligata a comparire in abiti discinti mordicchiando una mela allusiva ,sculettando audacemente e scovando squallidi doppi sensi per assumere sembianza di maliarda tentatrici. Quando danza per il suo innamorato nella taverna di Lilas Pastia gareggi con le più sensuali zingarelle della tradizione cabarettistica e nel fatale incontro con l’amante sollecita il colpo mortale con la volgare provocazione di un pegno d’amore gettato volgarmente in faccia al compagno impazzito di gelosia. Per interpretare un personaggio tanto caricato di torbida sensualità si deve preferire un mezzosoprano di tinta scura e di forte tempra drammatica, rinunciando a scelte vocali che potrebbero meglio assicurare ombreggiature psicologiche sfumate e possibili letture intimistiche.

Alberto Zedda

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